“Pink” e “Anti pink”, la rivoluzione sessuale passa attraverso i colori


Scegliere o rifiutare un abito di un determinato colore: una questione che affonda le radici nella cultura di una società e nella psicologia sociale.
La moda è caratterizzata, per la sua essenza intrinseca, da una continua evoluzione,  una metamorfosi che non trova pace. “Tutto e il contrario di tutto” potremmo ben dire per definire questo fenomeno di comunicazione di massa che trova le sue radici all’origine stessa dell’umanità. Non fu Eva che, dopo aver mangiato – e fatto mangiare – il frutto del peccato scopre il pudore e si veste?
La moda è, dunque, uno strumento di comunicazione semantica attraverso il quale l’individuo “parla” di sé stesso, delle proprie origini, del proprio stile di vita. Modelli, tessuti e colori diventano, in questo contesto, elementi indispensabili per la nostra funzione di racconto; dalla nascita, infatti, la persona comincia a parlare di sé e, al contempo, forma, attraverso i suoi indumenti, il proprio modo di essere. Già prima di nascere, ancora, i futuri genitori cominciano ad acquistare vestiti, dipingere le pareti, comprare giocattoli… tutti, rigorosamente, rosa o azzurri. Non è forse questo un segno distintivo che connota immediatamente il neonato? Rosa, per le femmine e azzurro per i maschi: anche da lontano chiunque può identificare il sesso del nascituro.
Donne e uomini, però, non crescono allo stesso modo: altri stereotipi ed elementi di acculturazione influenzano il loro essere per “spegliarsi” degli abiti del passato e acquistare una nuova identità. Non serve acquistare l’abito alla moda per rientrare all’interno di una determinata categoria: un uomo in giacca e cravatta o uno con un jeans strappato e giubbotto di pelle già evocano due stili di vita molto differenti tra loro.
Le donne, in questo ambito, riescono a indossare con più facilità maschere differenti, passando dal rigore professionale alla sensualità di una serata romantica al “casual” di un pomeriggio in famiglia.
Alcune categorie di donne, però, rimangono “affezionate” al colore rosa facendone non soltanto una tonalità gradevole che ben si abbina al colore della pelle e dei capelli ma, addirittura uno stile di vita. Sono le “Pink Ladyes” e, un esempio lampante del loro modo di essere, è ben espresso nel film Grease con Olivia Newton Jones. Sfrontate, sicure del loro essere donna, della loro femminilità, assumono un atteggiamento “civettuolo” per ammaliare il proprio “maschio”. L’analogia con il pennuto non è certo un caso poiché i grandi occhi della civetta sono da sempre considerati un elemento determinante per attrarre l’altro sesso.
Per queste donne non esiste soltanto l’abbigliamento ma accessori di ogni tipo: scarpe, borse, penne, mobili, tutto deve avere la tonalità che dal perlato allo sgargiante ne connota l’essere.
La moda è, come abbiamo precisato, “tutto e il contrario di tutto” e, seguendo questo assioma alcune donne hanno cominciato a ribellarsi a questo modo di essere che segrega le donne nello stereotipo che rievoca più una Barbie piuttosto che una donna che vive nel XXI secolo.
Per nulla togliere alla famosa bambola con cui tutte le donne, almeno una volta nella vita, hanno giocato, non si potrà non accettare che, lo stereotipo della bionda avvenente, costantemente truccata – dalla mattina quando si alza dal letto a baldacchino alla sera – e con una postura sempre eretta sulle “mezze punte” – per rievocare un linguaggio della danza – per slanciare le proprie gambe, certo non collima con le suffraggette o le manager di oggi.
Ecco che, a sostenere l’identità femminile, faticosamente conquistata col rifiuto del corsetto, l’avvento della minigonna e gli indumenti unisex – tanto per citare alcuni dei segni distintivi della rivoluzione femminile attraverso l’abito – arriva una corrente di pensiero che si identifica con “anti-pink”. A sostenere questa corrente di pensiero, sono arrivati anche i social network, come facebook, soprattutto nelle pagine americane che hanno denominato, la tendenza delle ragazze-giocattolo “pinkification”.
La questione è molto più complessa di quella che potrebbe apparire e, soprattutto, non è circoscritta a un determinato gruppo di donne “a favore” o “contro” l’uso/abuso del rosa. Vi siete mai chiesti perché, entrando in un negozio vi orientate verso un determinato colore di indumenti piuttosto che un altro? Avete mai detto che non vi sentite a proprio agio indossando una determinata tonalità?
La domanda che bisogna porsi, in conclusione, è se un colore possa dominare la vita e il comportamento di un individuo e la risposta, diversamente da quanto si potrebbe immaginare, non è univoca:
se la si osserva secondo il punto di vista della cromatologia di moda della psicologia sociale; attraverso questo colore la donna si immedesima in un determinato stereotipo che è stato imposto dalla società e, istintivamente, lo accetta o lo rifiuta.
No se percepiamo questa tendenza come un fenomeno di imitazione delle masse - così come lo definiva Simmel nel suo saggio “Die Mode” – senza apportare alcuna personalizzazione dello stile o assimilazione del valore intrinseco che cela la tonalità in oggetto.

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