Le aziende italiane sostengono le lavoratrici madri?
La gestione di un’azienda, per essere efficace e produttiva – e dunque
remunerativa – deve tener conto di diverse variabili e delle esigenze dei
dipendenti che contribuiscono, con la propria mansione, a garantire una catena
di montaggio che sia ben “oleata” ed efficiente.
Il criterio secondo il quale “bisogna lasciare i problemi a casa prima
di recarsi a lavoro” non è funzionale soprattutto se è proprio l’ambiente di
lavoro – o l’organizzazione e la gestione del tempo e dello spazio – che influisce
sulla produttività del dipendente. Un esempio eclatante di questo principio lo
vive il genere femminile nel momento in cui decide di “metter su famiglia” e
avere un figlio.
Il ragionamento che deve guidare l’imprenditore è che l’eventuale
– e momentanea – assenza di una donna
dal proprio posto di lavoro è un piccolo “prezzo” che va pagato per raggiungere
gli obiettivi sperati: la donna è una risorsa umana produttiva “nonostante” la
sua funzione sociale al di fuori dell’azienda.
Le istituzioni pubbliche, però, in alcune aree geografiche non sono
state abbastanza efficaci a infondere questo tipo di cultura d’impresa e, nel
XXI secolo, ci troviamo ancora a dover parlare di “politiche a sostegno delle
donne e della famiglia”.
Nell’Europa mediterranea (principalmente Portogallo, Spagna, Italia e
Grecia) la rete impersonale familiare supporta molto la giovane coppia e la
famiglia in generale e le politiche pubbliche non sono ancora riuscite a
rispettare quanto previsto dalla Conferenza di Lisbona nel 2000: un adeguato
livello di occupazione femminile anche grazie al supporto di politiche per
l’infanzia: il 33% dei bambini in età pre- scolare dovrebbe avere una
collocazione adeguata in una struttura che dia sicurezze e garanzie ai neo
genitori.
La principale difficoltà delle donne a entrare nel mondo del lavoro – e
di conseguenza di iniziare la gavetta che porta in seguito fino al vertice – è
quella del ritardo nell’ingresso del mondo professionale per aver dovuto
effettuare una scelta tra i figli e il lavoro. Dopo l’ingresso, però, il
cammino in salita è ancora più arduo poiché sembra che uno dei principali compiti
– che accomuna sia le dipendenti a qualsiasi livello sia le imprenditrici, è
quello di dover dimostrare la loro dedizione al lavoro e la loro capacità.
Cosa succede nel mondo? La
situazione delle donne in nord Europa è molto diversa e, non solo vi è un’accettazione
culturale alla creazione di famiglie numerose ma queste, addirittura, ottengono
dei benefici fiscali e hanno la garanzia di poter fruire di strutture pubbliche
per la cura del bambino in età pre - scolare. Una condizione che, aggiunta a
una percentuale maggiore di richieste di congedo per il padre, incentiva la
donna a rientrare prima nel proprio posto di lavoro riducendo al minimo
l’assenza dall’azienda e relazionandosi in modo più produttivo con il proprio
lavoro poiché è serena che il proprio figlio è ben accudito.
Andando oltre oceano la situazione migliora ulteriormente e ci si trova
davanti a casi come quello di Marissa Mayer, CEO di Yahoo! assunta proprio
mentre era in gravidanza. Una “svista” dei suoi superiori? Assolutamente no: il top management, infatti, ha valutato il fatto
che una breve interruzione a ridosso del parto non era una discriminante per
l’assunzione in azienda. Per fare un paragone in Europa una donna si è dovuta
appellare alla Corte Europea perché assunta da una banca all’ottavo mese di
gravidanza e si è vista recapitare una lettera di licenziamento per aver omesso
il suo stato: una sentenza che ha segnato la storia normativa europea per le
pari opportunità ma che continua a destare scandalo.
Gli States, del resto, sono pionieri in molti campi e, per capire come
mai esiste questo gap tra il vecchio e il nuovo continente basti ricordare che
le difficoltà legate al rapporto tra conciliazione di vita familiare e
professionale è stato affrontato in un film con la bravissima Diane Keaton
(Baby Boom) nel lontano 1987 e, dunque, appare quasi ovvio che
dopo quasi un quarto di secolo la situazione sia andata a migliorare sempre di
più.
Quale strategia deve adottare l’azienda
per uscire dall’impasse? La creazione di politiche family friendly:
dall’istituzione del nido aziendale (o del consorzio di aziende nel caso di
realtà con un’elevata presenza di Micro e PMI) all’incentivo per il congedo
parentale per il padre alla scelta di assumere due donne in part – time che
possano, in quelle ore, dare il massimo incrementando la loro soddisfazione
personale di essere riuscite a conciliare famiglia e lavoro.
Molto ancora deve essere realizzato per le giovani donne e tanto ancora
per quelle più mature: i “capelli grigi” dell’esperienza, infatti, sono ben
visti negli uomini ma non altrettanto nelle donne che rischiano una maggiore
discriminazione per l’età anagrafica.
Questo porta a donne “più povere” sia perché discriminate nelle
promozioni sia perché vanno in pensione con meno anni di servizio (entrando più
tardi nel mondo del lavoro o uscendone prima).
L’imprenditore deve assumersi la responsabilità sociale ma capire anche
e soprattutto che il bene della propria dipendente si riflette in benefici
economici e organizzativi della propria azienda.
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