Conciliare lavoro e famiglia? Per la donna in Sicilia è ancora un’utopia. Intervista alla Consigliera di parità Alessandra Cascio

Per una donna, conciliare la vita personale e professionale non è una passeggiata. Da secoli relegata alla cura del “focolare domestico”, ha tentato di uscirne con la rivoluzione femminista che, tuttavia, le ha posto una nuova sfida quello di sapersi mostrare come “super”… mamma, moglie e professionista.  Un mix che risulta “stretto” soprattutto in Sicilia dove, la fortissima rete familiare e il tessuto produttivo caratterizzato da micro imprese – spesso a conduzione familiare -, rende estremamente difficoltoso portare avanti qualsiasi ruolo. “Sul fronte delle pari opportunità abbiamo fatto dei passi da giganti con le altre consigliere nazionali e, soprattutto con quelle del Sud Italia – ci ha spiegato la consigliera di parità della Provincia di Caltanissetta Alessandra Cascio – ma ancora, in alcuni casi, la “non discriminazione” rasenta l’utopia”.
L’ufficio del lavoro, purtroppo, non è riuscito a reperire i dati aggiornati sull’occupazione femminile nella nostra provincia: gli ultimi in possesso della Consigliera di Parità, infatti, sono precedenti alla crisi economica che, negli ultimi due anni, ha sensibilmente aumentato il numero degli inoccupati.
Per cambiare lo stato attuale, secondo il parere della dottoressa Cascio, bisogna agire su due fronti: il primo in ambito culturale e il secondo in ambito economico. “E’ indispensabile – continua la Consigliera – infondere una cultura d’impresa che faccia capire non solo all’imprenditore ma anche allo Stato che incentivare l’occupazione femminile, anche attraverso agevolazioni – presenti tra le altre nella legge 53 del 2000 – negli orari di lavoro (la tanto famosa quanto inapplicata “flessibilità” voluta nella legge Biagi), aumenta la richiesta di servizi e, dunque, di occupazione”. Se una donna al mattino esce di casa per recarsi nel proprio posto di lavoro, infatti, ha necessità di una baby sitter o di un asilo nido che si prenda cura della propria prole ma anche di chi l’aiuta con le faccende domestiche o con un familiare anziano o disabile. Questo porta ad aumentare la richiesta del “Terzo settore” di cui, nella nostra provincia come in tutta l’isola, siamo estremamente carenti.
“In Sicilia –  continua la Consigliera – la donna con un figlio in età prescolare appare diffidente rispetto alle strutture per l’infanzia e preferisce, invece, optare per la rete informale caratterizzata da familiari e parenti. Questo, però, non giustifica la ‘maglietta nera’ che la nostra Regione indossa rispetto alle altre realtà italiane: nel caso in cui una famiglia abbia la necessità di portare il proprio figlio all’asilo nido non trova spesso disponibilità all’accesso”.
Il quadro normativo nazionale, ad oggi, è particolarmente garantista nei confronti non soltanto delle donne ma, in generale, delle famiglie: sono i figli che, crescendo, diventano cittadini, imprenditori o – in generale -professionisti e soltanto supportando le mamme e i papà nella crescita della prole è possibile portare avanti una società sana. Lo stesso “congedo parentale” che ad oggi non risulta più appannaggio esclusivo della donna ma fruibile (in alternativa e non in aggiunta) dal padre che, così come nel resto dell’Europa, è diventato un soggetto attivo per il normale ménage familiare. Due genitori soddisfatti e senza sensi di colpe, infatti, si traducono in due lavoratori produttivi.
“Molto spesso gli imprenditori non comprendono che concedere i diritti – garantiti dalla legge – ai propri dipendenti porta un maggiore rendimento durante l’orario di lavoro” spiega la consigliera che porta esempi – facilmente attuabili ed estremamente efficaci – come lo slittamento dell’orario di apertura di uno sportello per il pubblico o la concessione del congedo anche al padre. La donna lavoratrice, “potenzialmente madre” e assente per un breve periodo, dunque, non è un “peso” ma una “risorsa”. Certamente il sistema pubblico ha delle storture fiscali spesso non indifferenti per gli imprenditori siciliani che gestiscono micro o piccole imprese. “Abbiamo più volte fatto notare alle nostre colleghe del nord Italia che le normative non devono essere tarate solo per le grandi imprese capaci, cioè, di anticipare l’80% dello stipendio di una donna in congedo o di trovare spazi e fondi per aprire nidi aziendali o sostituire la stessa titolare d’azienda che sceglie – giustamente! – di essere anche madre. Purtroppo, però, spesso si parla di progetti non realizzabili poiché gli istituti pubblici – come in questo caso l’INPS – non sono capaci, con un piano di previsione di spesa, di semplificare il meccanismo burocratico e creare un fondo di garanzia che sia capace di anticipare le mensilità alla dipendente e si finisce per imporre all’impresa di pagare, per un breve periodo, un doppio stipendio (della puerpera e del sostituto) per svolgere una mansione”.
Nel passato questo ha generato, il fenomeno illegale e indecoroso delle “dimissioni in bianco” richieste al momento dell’assunzione alla donna – ma ormai, purtroppo, non solo a lei come conferma la dottoressa Cascio –. “Per fortuna, dopo l’ottimo lavoro condotto dal Ministro Carfagna, la procedura adesso impone un controllo automatico da parte dell’ispettorato del lavoro e non è così semplice far dimettere una donna incinta o che ha partorito nei 12 mesi precedenti” ma basta fare un piccolo giro tra le attività commerciali e negli uffici, che si osserva un’abbondante mole di lavoro sommerso. “Un paradosso del sistema – commenta la Consigliera – che non dovrebbe nemmeno esistere dato che è possibile fruire di molte agevolazioni o voucher spendibili dagli imprenditori per regolarizzare il proprio personale senza doverlo necessariamente assumere a tempo indeterminato”.
Attenzione, infine, a non identificare la donna solo come “dipendente” e mai come “imprenditrice”: gli studi condotti a livello internazionale dimostrano che una donna titolare di un’azienda – soprattutto se nel settore sociale – può godere di maggiore flessibilità oraria ma, come negli altri casi, in Italia e nel Sud, ancora viviamo una situazione non ottimale. “Il Ministro Carfagna nel 2010 ha rifinanziato il fondo previsto nell’art. 9 della legge 53/2000 al quale può attingere l’imprenditrice – che giustamente vuole essere anche madre – per assumere un sostituto durante il proprio congedo parentale. Da allora – conclude la Consigliera nissena – al Governo è mancato non soltanto un Ministro dedicato esclusivamente alle pari opportunità ma anche il rifinanziamento del fondo. Anche in questo caso le imprenditrici delle piccole aziende, non essendo capaci di sovvenzionare il manager sostitutivo, si trovano a dover scegliere tra la sfera personale e professionale”.
Ad oggi l’individuo – e non soltanto la donna – non deve aspettare che il genitore gli procuri il “posto fisso” ma deve accettare la sfida del sistema ed essere, al contempo, specializzato e flessibile sia nell’orario di lavoro sia nelle competenze. Un “esame di coscienza” che deve fare il privato, le istituzioni pubbliche, le associazioni sindacali e datoriali: su questi ultimi soggetti ricade il dovere di far le potenzialità dei fondi europei e degli istituti di garanzia per l’accesso al credito che, sempre più, spingono verso una cultura d’impresa e garantista per giovani e donne. Il terzo settore, secondo il parere della dottoressa Cascio, è quello che attualmente presenta maggiori sbocchi occupazionali poiché racchiude tutti questi aspetti e non è stato travolto dalla crisi; un ambito, peraltro, compatibile con il moderno ruolo di una donna che, per il XXI secolo, ha una nuova sfida: essere soddisfatta come lavoratrice e madre.

Fonte: Seguonews


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